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Farmaci a bersaglio molecolare

Tumori renali e farmaci a bersaglio molecolare

Introduzione

La terapia del tumore del rene metastatico (mRCC) si divide in due categorie principali:

  • Terapie a bersaglio molecolare (Target Therapy, TT);
  • Immunoterapia

Entrambe le categorie farmacologiche sono disponibili sia singolarmente che in associazione, sia nell’ambito della normale pratica clinica, sia all’interno di protocolli sperimentali.

Appare ragionevole pensare ed è in parte già stato dimostrato che una combinazione di queste due diverse forme di terapia oncologica possa indurre un ulteriore miglioramento dei risultati ottenuti finora, determinando un ulteriore miglioramento della sopravvivenza complessiva e della qualità della vita.

Caratteristiche peculiari del tumore renale

Appare utile, prima di delineare nel dettaglio le opzioni terapeutiche disponibili, delineare alcune caratteristiche peculiari del tumore renale. Si sottolinea che:

  • la chemioterapia tradizionale e l’ormonoterapia sono inefficaci nel trattamento del tumore renale metastatico;
  • la radioterapia, mediante l’utilizzo di metodiche moderne, si è rilevata efficace nel trattamento di specifici siti di metastasi (es. osso, encefalo), per quanto prevalentemente a finalità palliativa (per anni, infatti, il tumore del rene è stato considerato radioresistente);
  • le metastasi ossee beneficiano, oltre che della radioterapia, anche di farmaci specifici per l’osso (acido zoledronico e denosumab).

Farmaci a bersaglio molecolare

I farmaci a bersaglio molecolare rappresentano una categoria farmacologica diretta contro specifici bersagli delle cellule tumorali (pathway biochimici e proteine mutanti), al fine di inibire processi biologici caratteristici e fondamentali per la sopravvivenza tumorale, quali:

  • crescita cellulare;
  • resistenza all’apoptosi (morte cellulare);
  • metastatizzazione a distanza;
  • neoangiogenesi: rappresenta, tra tutte, la caratteristica principale del tumore renale.

Tumore renale e angiogenesi

Per angiogenesi si intende lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni a partire da vasi già esistenti. La capacità di indurre l’angiogenesi è considerata uno dei “segni distintivi” dello sviluppo delle neoplasie maligne: per una massa tumorale, costituita da cellule in proliferazione anomala ed accelerata, sarebbe molto difficile continuare a crescere in assenza di nuovi vasi sanguigni, fondamentali per l’apporto di ossigeno e nutrienti. La loro assenza determinerebbe, infatti, la morte cellulare e quindi l’impossibilità alla crescita.

Tale attività angiogenica è accentuata nel carcinoma renale, configurandolo come il prototipo delle neoplasie responsive ai farmaci a bersaglio molecolare aventi attività diretta contro l’angiogenesi (cioè, ad attività antiangiogenica). Infatti, nel carcinoma renale, l’inattivazione di un gene specifico (ovvero il gene oncosoppressore di Von Hippel-Lindau, VHL), rappresenta il principale meccanismo promotore di una serie di eventi a cascata, che, in ultima analisi, contribuiscono ad innescare un’esasperata neoangiogenesi, mediante l’iperproduzione di una serie di fattori di crescita, tra i quali il più importante è il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF). Il VEGF ha effetto principalmente sulle cellule endoteliali vascolari (ovvero, le cellule che costituiscono la superficie interna dei vasi sanguigni), inducendo la loro proliferazione, sopravvivenza e migrazione. Questo determina, quindi, la costituzione di una nuova serie di vasi sanguigni, fondamentali per garantire al tumore:

  • crescita e sopravvivenza, mediante l’assorbimento di nutrienti ed ossigeno;
  • possibilità di metastatizzazione a distanza. Per metastatizzazione si intende l’ingresso di cellule tumorali, “distaccate” dal tessuto tumorale primitivo, nella circolazione generale, che attraverso il flusso sanguigno, potranno raggiungere altri organi, determinando la crescita di una metastasi (in termini semplici, un’ “isola” di tessuto tumorale), al di fuori dell’organo di origine del tumore.